UN CACCIATORE LO SA.


Un cacciatore lo sa quando arriva settembre. Lo sente sospeso nell’aria, quella che cambia improvvisamente dopo un temporale d’agosto: è lì che finisce l’estate e inizia la sua primavera. Una stagione lunga tre mesi che lo trascinerà vorticosamente verso le prime nevicate di dicembre e nonostante già sappia che gli costerà sacrificio, impegno e dedizione lui lo aspetta impaziente, ogni anno; è una promessa che non fatica a mantenere, lo fa da sempre, non c’è un perchè. E’ capace di scovarlo nella sottile differenza tra caldo e tiepido, tra acquazzone e pioggia, tra umidità e nebbia, in un prato arso dal sole che si risveglia avvolto in un piacevole tepore. In quel cambiamento improvviso, balenante, sorprendente, che mostrerà solo gradualmente, è rintanata tutta quanta la bellezza. E un cacciatore lo sa.

Sulle cime piemontesi settembre arriva presto, a certe altitudini l’estate è di passaggio e come un ospite rispettoso ci tiene a togliere il disturbo molto velocemente facendo ripiombare la vita in un fresco silenzio. I primi passi della mattina sono sempre i più faticosi, a maggior ragione se accompagnati da un’aria frizzante che brucia i polmoni e aggravati da uno zaino un po’ troppo pesante per dei quadricipiti ancora poco allenati. È una delle rare volte in cui siamo accompagnati da un ragazzo più giovane di noi, Giacomo. Vent’anni, futuro dentista ed appassionato cacciatore, da tempo accompagnatore nella riserva di famiglia sulle pendici della Val Varaita. Lui davanti per tenere il passo, Andrea poco più dietro.

Le luci dell’alba fanno capolino riflettendo sulla lamiera dell’Isuzu che, dopo averci scaricati, si allontana sollevando un grosso polverone, fino a scomparire dietro un pendio poco più avanti. Alla guida Giovanni, la guardia della riserva, che, come da accordi, ci aspetterà sull’ultima cima cacciabile al termine della strada.

L’idea di Giacomo è quella di raggiungere la cresta nel minor tempo possibile per poi percorrerla orizzontalmente, sporgendosi di tanto in tanto a binocolare le radure sottostanti, come abbiamo già fatto nei giorni precedenti senza però ottenere i risultati sperati. La caccia al capriolo in alta montagna è per noi una novità e poterla fare immersi nel panorama del Monviso ha dell’incredibile. Sono anni ormai che cacciamo sulle Alpi ma ogni volta, per un motivo diverso, riusciamo ad emozionarci davanti ad una nuova cima. E qui in particolar modo. Il Monviso è La Montagna per eccellenza, un triangolo perfetto che da decenni ispira artisti e alpinisti. Potente, appuntita, maestosa. Ora è lì, davanti a noi, carica di storie e di vita, nascosta dietro la solita nuvola che sembra non volerla abbandonare. “Qui nasce il Po’”, recita un’incisione, ed è proprio così. Da qui in giù 652 km di acqua che corre verso il mare, 183 comuni bagnati, 141 affluenti ed una bella parte della storia italiana da raccontare.

Dopo un quarto d’ora di camminata arriviamo a sporgerci sulla prima valletta, un paesaggio ancora troppo “pulito” per essere considerato un habitat adatto al capriolo. In compenso Giacomo scorge in lontananza tre cerve pascolare. L’aria fortunatamente è dalla nostra parte, raccoglie gli odori della valle portandoli verso l’alto, impedendo così agli animali di sentirci. Il cielo ha ormai abbandonato la sua tonalità arancione tingendosi di qualche striatura di azzurro ma in lontananza nuvole nere minacciano di avvicinarsi velocemente. La temperatura è decisamente cambiata, siamo ben lontani dai 20 gradi della settimana scorsa: ora, nella notte, si scende vicini allo zero, e gli animali lo sanno. Giacomo salendo ha reso ancora più elettrizzante l’atmosfera confidandoci di aver sentito qualche bramito di cervo nei boschi vicino a casa. Speriamo di essere fortunati e assistere a quello che per noi è Lo spettacolo per eccellenza.

Mentre le cerve brucando si avvicinano al bosco in fondo valle ci ritroviamo a scollinare sulla seconda valletta. Giacomo propone di abbassarci leggermente per binocolare oltre la grande pietra che ci copre la visuale. Mantenendo sempre lo stesso ordine di parata li seguo come terza della fila, cercando di fare il minor rumore possibile e imitando i loro gesti, cauti nell’accovacciarsi a terra quando si presenta la necessità ma altrettanto veloci per evitare di perdere tempo.

Improvvisamente lo scatto veloce di Giacomo che con uno sguardo sorpreso ci avvisa della presenza di un capriolo a soli 40 metri.

Non faccio in tempo a scorgerlo che Andrea ha già caricato la sua Franchi. Seppur pacati, i movimenti dei due non sono indifferenti all’animale che, una volta percepita la nostra presenza si precipita negli arbusti e lì rimarrà, lasciandoci con l’interrogativo sul suo sesso. Il capo prelevabile è maschio: Andrea spererebbe di trovarlo ormai in età avanzata, ma la guida è Giacomo, a lui spetta la decisione. Attendiamo su quel grosso ammasso di pietra per altri dieci minuti mentre il sole delle otto battendo sulla schiena concilia il sonno. La postazione sarebbe stata ottima: leggermente rialzata rispetto alla boscaglia nella quale si è infilato l’animale, con un avvallamento ideale per tenere ferma la carabina. Ma l’aspetto non è la caccia preferita di Andrea che ha trovato in Giacomo una ferma conferma alle sue abitudini, così, raccolti gli zaini e mantenendo sempre la solita lentezza di movimento, ci decidiamo a cambiare strategia e proseguire nell’osservazione dall’alto.

Improvvisamente un colpo d’occhio, uno di quelli per cui non ti capaciti come mai lo sguardo sia caduto proprio lì quando in fondo stavi osservando da tutt’altra parte. Eppure è già successo altre volte ma non ti sei mai dato una risposta sul perché dopo un’attenta valutazione di dieci minuti con il binocolo, l’occhio nudo ti cada proprio su una macchia arancione alla bordura di un prato: un capriolo, maschio, a 500 metri.

I movimenti da lenti diventano più spediti, decisi, frettolosi, forse imprudenti. In un attimo ci ritroviamo nuovamente in vetta con una nuova direzione di marcia. Il capriolo appena scovato si trova sull’ultima cresta, proprio dove Giovanni aveva deciso di aspettarci. Poco prima di sbucare dietro l’ultimo colletto che ci divide dal capriolo il sole scompare in un ammasso di nuvoloni neri e con lui anche il Viso. Una luce apocalittica illumina la scena. I binocoli curiosi nascosti tra i rododendri confermano la presenza del selvatico. In un attimo Andrea è a terra e con lui anche Giacomo che, cercando di sistemare il lungo sul cavalletto, accompagna la scena con qualche imprecazione. La postazione di sparo è pronta, improvvisata e mal studiata ma è bella per questo: testa il giù e piedi all’aria. Quando il lungo riesce finalmente a riprendere la scena, il capriolo con un balzo rientra nel bosco, senza lasciarci troppo tempo per capire cosa stesse effettivamente succedendo.

Dalla valle un tuono, una voce ferma, potente, rimbombante. Il bramito. Un suono talmente accattivante che ha impiegato poco a distrarre i due dall’obiettivo principale. La vita è fatta di priorità, dicono, e in quel momento loro ne avevano una ben precisa, ma le passioni son calamite e resisterci sembra impossibile. Un cacciatore lo sa qual è il suo punto debole, nel bene e nel male. E anche Andrea conosce il suo, perchè per lui non esiste capriolo che tenga davanti al richiamo del cervo.

E ora lo so anche io.

Negli anni ho cercato di capire cosa gli passasse per la testa, mi piace conoscere le persone apprezzandole per quello che non dicono e con Andrea il più delle volte è stato così. Ogni tanto ti lancia degli spunti, qualche parola per farti immaginare a grandi linee che cosa abbia dentro e tu ti ci devi attaccare a quei singhiozzi, se hai voglia risalirli, sistemarli, tirarci fuori qualcosa di buono. Un giorno mi ha detto “A me quando penso ai cervi trema lo stomaco” E tu vallo a capire cosa volesse dire. Eppure è così. L’ho capito davvero solo la scorsa quarantena, dopo quattro anni che lo conosco, quando tra tutte le incertezze e i pensieri pesanti che la sera ti vengono a bussare alla porta lui si rifugiava nello studio di una strategia per poter trovare i palchi di un cervo che pascolava nei prati dietro casa. Ancora non mi capacito di quanta serenità riuscisse a trarre da quel momento di attenta pianificazione e ricerca. A tratti gli davo del matto. Chi nel bel mezzo di una pandemia pensa a che strada possa aver fatto il cervo che ti mangia nell’orto di casa? Ma forse sono matta io a non aver qualcosa di così forte dentro cui rifugiarmi. E si può pensare che sia una questione di corna grosse e trofei se solo non lo facesse con tutta la specie, maschi, femmine o piccoli che siano.

Adesso era lì, davanti al primo colpo di bramito dell’anno e so che avrebbe fatto di tutto per non perderselo.

Abbandonato per un attimo il capriolo ci sporgiamo verso la valletta alle nostre spalle: non è stato difficile individuare da dove venisse il suono. Sdraiato in una pozzanghera, più sporco e selvaggio che mai, un coronato cinque e sei dominava decisamente la zona. Dopo un’attenta valutazione con il lungo notiamo anche il doppio pugnale, una particolarità sicuramente non trascurabile. Non è tanto il bello che lo frega ma il particolare. Più sono strani, più gli piacciono e credo che anche Giacomo sia del suo stesso pensiero. Come dargli torto. In quel momento, e dinuovo non so spiegarmi il perchè, un briciolo di lucidità sembra averli colpiti.

Riusciamo a tralasciare lo spettacolo del bramito trascinandoci verso l’alto per riprendere la caccia al capriolo. Tornati sul posto ci decidiamo a raccogliere le nostre cose per guadagnare qualche metro sperando che la situazione si smuova, siccome il capriolo sembrava essere stato inghiottito dal boschetto. In un secondo ero in piedi con lo zaino in spalle pronta a ripartire ma qualcosa ci ha nuovamente trattenuti.

Andrea stava per rimettersi la carabina in spalla quando l’animale ha deciso di ritornare a brucare nel prato.

E’ stato una attimo, questione di secondi, ed eravamo dinuovo tutti per terra. Stessa identica scena di prima, Giacomo che posizionava il cavalletto del lungo imprecando e Andrea che toglieva e metteva lo zaino cercando di trovare un buon appoggio per il tiro. Vuoi per il cervo, vuoi per lo sforzo di raccogliere il materiale da terra e ritirarlo fuori, vuoi per l’emozione lo sentivo respirare velocemente e anche il cuore non credo fosse più tranquillo.

E un cacciatore lo sa quando è troppo agitato, o meglio, dovrebbe saperlo, tanto da cercare di rallentare i battiti e allungare il respiro. E così ha fatto.

Un cacciatore lo sa quando arriva settembre, quando tutto sta per succedere. E allora resta ammaliato, fremente, elettrizzato. Pronto. Perché in cuor suo lo sa, le prime giornate di quel mese speciale sono sempre state il suo Sabato del Villaggio



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Marta Chiattone

Classe 1995, nata e cresciuta a Moncalieri, ai piedi dell’arco alpino piemontese. Conseguita la laurea magistrale in Amministrazione Finanza e Controllo ma consapevole della serenità che la montagna è in grado di trasmetterle, abbandona l’ambito economico per dedicarsi full time al settore dell’outdoor. Muove i primi passi come content creator per il compagno, e poi marito, Andrea Cavaglià, iniziando fin da subito a seguirlo nel mondo. L’attrazione verso i particolari e l’entusiasmo per le storie di vita quotidiana segnano il suo percorso da narratrice: la semplicità dei sentimenti e le sfaccettature nascoste diventano la cornice perfetta per arricchire video e racconti di un mondo venatorio per lei a volte troppo sterile di emozioni.

“Siamo avventura, impeto, sentimento ed eleganza “.

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