SUBLIME ATTRAZIONE - Curiosità sulla caccia in montagna


Compagna affascinante e silenziosa confidente. 

Avversaria insidiosa e maestra intransigente, a volte fin troppo. 

Madre e matrigna.

L’esaltazione estrema della maestosità della natura; potenza, autorità ed impeto.

Amarla e apprezzarla in bufere e tempeste per un cacciatore è quasi dovere: i patti chiari di un’ amicizia lunga. 

La caccia di montagna è un richiamo, una coniugazione di soddisfazioni e fatiche spesso difficile da comprendere. Per qualcuno un’inclinazione innata, per qualcun altro una passione coltivata nel tempo.

Come ogni amore, tanto più forte se costruito nelle difficoltà.

Il senso di quello che voglio dire è racchiuso qui.

Siamo tutti cacciatori di montagna su un dolce altipiano soleggiato, senza nuvole all’orizzonte, ma quando cala la nebbia su un pendio scosceso chi dice di amarla ancora?

E’ proprio questo il propulsore di un’anima di montagna: l'amore e l’attrazione per le sfide complesse ed impegnative da cui non può che scaturire appagamento.

Devo dire grazie al lavoro se negli ultimi anni ho avuto la possibilità di incontrare, conoscere ed apprezzare un bel numero di cacciatori di montagna. Ma quelli veri, testardi e solitari, perchè per innamorarti di questa passione devi essere un po’ così: uno spirito genuino, con pochi valori ma profondi, solitario ma mai solo e con quella consueta testardaggine di chi è duro ad arrendersi. 

La grande fortuna è stata intravedere come ognuno di loro avesse un modo diverso di affrontare la montagna e, a suo modo, rispettarla ma lo stesso identico modo di guardarla.

Tutti conosciamo il dipinto “Viandante sul mare di nebbia”.

Brevemente raffigura un uomo di spalle appoggiato su un promontorio che osserva l’arrivo di una tempesta.

La mia insegnate di arte lo definì “lo spaventoso che meraviglia”, i critici l’hanno ribattezzato “la rappresentazione del sublime”. 

“Sublime” è una parola strana: è affermazione ed è anche negazione. 

Noi tutti la conosciamo nella sua accezione più comune, come sinonimo di eccelso: bellezza e grandezza al loro più alto grado. Ma la verità è che il sublime, nella sua derivazione latina ( sub-, "sotto", e limen, "soglia") ha un significato quasi opposto: “sotto la soglia” ovvero “ciò che è al limite”. Si distingue certamente dal concetto di bello a cui siamo abituati, identificando un qualcosa di esasperato in senso pauroso perchè vicino al limite. 

Ammetto, ci misi un po’ di anni e un po’ di disavventure per digerire il concetto, ma oggi mi è tornato utile e, anzi, sono convinta che non ci sia immagine più significativa per descrivere l’indole che accomuna tutte queste persone. L’attrazione per ciò che spaventa è certamente un ossimoro ma non conosco cacciatore di montagna che non sia attratto dalla sfida, dell'imprevedibilità e dalle complessità. E sono ancora più certa che in fondo lo sia per un motivo fondamentalmente: si è messo nelle condizioni di poterle fronteggiare.

Così come il viandante è sereno perché osserva la scena da un luogo riparato, il cacciatore è attratto dall’imprevedibile se e solo se sa di avere i mezzi per affrontarlo. Il passaggio più difficile è non peccare di presunzione, non sottovalutare e mai banalizzare.

Valutare lo scenario peggiore è un dovere: la montagna esaspera qualsiasi problema.

Così, facendo tesoro di questi insegnamenti, ho cercato negli anni di costruirmi un bagaglio tutto mio, di scovare quegli accorgimenti, mai scontati, che penso possano fare la differenza: i dettagli, quelli sì che fanno sempre la differenza. 

Se la prima regola è “Mai sottovalutare”, allora gli ambiti da considerare sono tanti.

Primo fra tutti, il meteo. 

L’argomento “previsioni del tempo” è vasto e combattuto. 

Avere un consulto meteorologico è indispensabile ma non è tutto. 

Chi è che, la sera prima dell’uscita, non si mette alla ricerca di applicazioni e siti più o meno attendibili per riuscire ad avere un verdetto? Noi stessi negli anni abbiamo selezionato delle fonti militari che sembrano dare trend abbastanza precisi ma la verità è sempre una: le nuvole a 2000 metri corrono veloci perchè il vento soffia più forte, arrivano senza troppi preavvisi e, si sa, senza sole la montagna cambia, anche in estate ed a maggior ragione in inverno; le temperature precipitano e quella che era iniziata come una tranquilla passeggiata assume subito le vesti di qualcosa più impegnativo. A quel punto “scappare” può non essere un’opzione:  l’unica soluzione è affrontare. 

Ma, come abbiamo detto, se l'imprevedibilità, declinata in tutte le sue sfaccettature, è fascino per chi ha fatto della caccia in montagna uno stile di vita, imparare a fronteggiarla è necessità.

Abbiamo appurato a nostre spese che un capo in particolare fa la differenza: il K-Way. Un guscio impermeabile è un investimento salva vita nei temporali d’estate e nelle nevicate d’inverno. Più fondamentale di un piumino. Isolante ed idrorepellente, non disperde il calore corporeo ed impedisce all’acqua o alla neve di bagnare: se si riesce a rimanere asciutti si è già a metà dell’opera.

La nostra consapevolezza a riguardo nacque la notte del 24 giugno 2017 quando alle tre della mattina siamo stati sorpresi da una tempesta di fulmini a 2800 metri. La sera precedente ci eravamo addormentati nei nostri sacco a pelo sotto un cielo di migliaia di stelle circondati da un gruppo di quindici maschi di cervo che pascolavano. Un sogno. Era la festa di San Giovanni, patrono di Torino: per l’occasione in città tripudiavano i fuochi d’artificio. Ma allo “spettacolo” a cui assistemmo noi quella notte non auguro a nessuno di presenziarci mai. 

I fulmini che squarciano il terreno a pochi metri dai tuoi piedi caricano l’aria di morte.

L’unica volta in cui pensai davvero che sarebbe finita lì.

Le nuvole lampeggianti scaricavano gocce di ghiaccio pungenti.

La tenda era diventata una gabbia per la mente, anche se, con il senno di poi, sarebbe stato meglio rimanere lì dentro. Ma con l’adrenalina in circolo ed in preda a una crisi di panico costrinsi Andrea ad abbandonare tutto lì e scappare verso la macchina. Ci impiegammo mezz’ora a raggiungerla. Mezz’ora durante la quale il cielo non smise mai di illuminare la notte: non ci fu mai bisogno di accendere torce o telefoni, anche quelli improvvisamente scarichi. Di quegli attimi ricordo tutto. Perfettamente.

La discesa infinita, le urla, i pianti e le gambe sfinite. 

Ci fermammo a prendere fiato prima degli ultimi 100 metri, distesi a terra per non rimanere spuntoni accattivanti su un pendio totalmente spoglio di alberi. 

Ricordo bene il viso di Andrea fradicio, le labbra viola e il tremore che lo aveva avvolto: aveva dato il K-Way più resistente a me e nel suo quella pioggia di ghiaccio era penetrata in un attimo.

Grazie al cielo mancava davvero poco alla macchina.

Da quel giorno l’unico capo a cui non rinunceremmo mai, nemmeno nelle giornate più calde, ed al quale riteniamo giusto dedicare uno sforzo economico maggiore è proprio l’impermeabile. Vorrei poter concludere con una frase d’effetto come “Provare per credere” ma, ripeto, è un’esperienza che non augurerei nemmeno al peggior nemico. 

Un’attenzione particolare va riservata anche al pantalone: elastico e comodo per ogni movimento. La traspirazione vince quasi sempre sull’impermeabilità anche nel periodo invernale; lo sforzo nella caccia in montagna è sempre richiesto, di conseguenza un capo troppo impermeabilizzato, a differenza di prima, non permette al calore di fuoriuscire, anzi condensa e rende umida la gamba nel momento in cui ci si ferma. 

Altro elemento da non sottovalutare è la conformazione del terreno. 

La caccia, più di qualsiasi altra attività di trekking, porta a rivalutare il percorso in itinere, ciò significa che spesso e volentieri l’idea di sentiero idealizzata e studiata la sera precedente sulla mappa può non essere percorribile. Qui le nozioni di orientamento diventano fondamentali, meglio se supportate da qualche strumento avanzato. A questo proposito, nella fase di preparazione del materiale ipotizzare sempre di dover agire in assenza di una connessione internet: non tutte le valli sono raggiunte dal segnale telefonico. 

A volte la caccia di montagna richiede tiri a distanze elevate, con angolazioni di sito differenti e con appoggi spesso precari: tutti dettagli che possono essere in qualche modo controllati con le nuove tecnologie, anche se il brivido di un avvicinamento a 100 metri rimane, a mio parere, l’emozione più grande che la caccia possa regalare. In ogni caso esistono situazioni, aree e stagioni  in cui per la vegetazione molto fitta o per la conformazione del terreno il tiro lungo è inevitabile. A questo punto bisognerebbe cercare di “domare” anche l’ultima variabile estremamente aleatoria: il vento

E’ bene ricordarsi che l’assenza di aria nel sito di sparo, non presuppone che la palla non incontri correnti ascendenti o discendenti durante il tragitto capaci di modificarne la traiettoria e quindi l’impatto finale. Questo succede spesso laddove il tiro avviene a cavallo di un canale, da un costone di montagna all’altro, solitamente solcato da un rio. Un escamotage da tenere presente è che quasi sempre la mattina presto l’aria fredda tende a scendere verso valle seguendo la corrente del fiume mentre, non appena la temperatura si alza, l’aria più calda si sposta con movimento opposto verso la cima. Un ulteriore aiuto può essere dato dall'osservazione dei fili d’erba nel punto d'impatto: non è assolutamente certezza che le condizioni dell'Anschütz rispecchino quelle del sito di sparo. Per ora non esistono strumenti in grado di valutare il vento su tutta la traiettoria del proiettile e questa diventa una variabile incontrollabile ma estremamente incidente sulle lunghe distanze. Altro accorgimento è quello di cercare di avere sempre le mani calde, soprattutto quella con cui si spara: il tiro può essere improvviso e la rigidità delle dita gioca sicuramente un ruolo a sfavore.

Dopo il tiro si fa strada un altro principio chiave che dovrebbe essere chiaro a qualsiasi cacciatore di montagna: le aspettative non sono la realtà. Un pendio osservato a distanza sembra sempre meno ripido di quello che effettivamente è; ma quando ci si accorge di questo a volte è troppo tardi.

E’ una regola che deve tornare utile ancora prima di prendere parte all’azione di caccia: imparare a valutare il recupero e, se pericoloso, desistere dal tiro. Questo perchè, dopo l’abbattimento, subentrano quei “doveri” morali secondo i quali l’animale va recuperato a tutti i costi e ciò potrebbe far passare in secondo piano la sicurezza. Ma questo non dovrebbe accadere mai.

Di conseguenza meglio evitare fin dal principio di trovarsi in mezzo a questo trade-off tra sicurezza e buona morale del recupero, studiando fin da subito l’azione nella sua totalità. In ogni caso, un paio di ramponcini nello zaino è bene non farseli mancare. 

Rimanendo sempre nell’ambito del recupero mi piacerebbe sottolineare altri due aspetti. 

Gli animali, specialmente nelle stagioni più calde, tendono ad uscire presto la mattina o tardi la sera. Il problema che si pone riguarda gli abbattimenti serali ed è legato alla luce: è necessario valutare la possibilità di effettuare un recupero prima di buio. Se in pianura, con luci e torce a disposizione, il problema non dovrebbe sussistere, nel caso della caccia in montagna è sconsigliato avventurarsi in recuperi scomodi, a maggior ragione se di notte: un altro buon motivo per valutare il tiro a priori. 

Ultimo appunto, ma non meno importante, è l'organizzazione del recupero. 

Specialmente su terreni non conosciuti è utilissimo cercare dei punti di riferimento per individuare l’animale abbattuto: ancora una volta, quello che sembra ovvio e facile a distanza, può non esserlo una volta arrivati sull'Anschütz e nessuno ci crederà mai se non l’ha sperimentato sulla propria pelle. Il fallimento di un recupero è causato dall’errata individuazione del Anschütz più frequentemente di quello che crediamo.

Proprio in questi mesi è uscito sul mercato un nuovo binocolo con gps integrato che è in grado di svolgere questa funzione di individuazione.

La soluzione più efficace finora è stata lasciare sempre qualcuno sul sito di sparo per indirizzare a distanza il recupero.

Ciò presuppone di essere almeno in due. 

Perchè a caccia in montagna si dovrebbe sempre essere in due. Soli mai

Il fascino di una cacciata in solitaria tra i pensieri leggeri di un’alba silenziosa è certamente irresistibile ma dal punto di vista della sicurezza non c’è niente di più sbagliato.  Quantomeno comunicare a qualcuno la propria posizione. 

Terzo ambito di cui essere consapevoli: la propria forma fisica.

La caccia di montagna è prima di tutto una prova di volontà e determinazione che ad un certo punto si trasforma in una sfida mentale. Le condizioni fisiche sono certamente presupposti importanti ma non sufficienti se alla base non c’è una forza di volontà incline al sacrificio. La consapevolezza delle proprie condizioni fisiche e mentali è un dovere per capire fin dove ci si può spingere. 

Ricordarsi sempre che dopo l’andata c’è anche un ritorno da affrontare. 

Ma dopo i calcoli e consapevolezze può arrivare l’incognito. 

Il consiglio è quello di non lasciarsi mai trovare sprovvisti di uno snack energetico, dell'acqua e di un telo termico.

Il corpo è motore e se il motore si ferma si rimane lassù, magari di notte o sotto una nevicata. Il telo termico è un foglio di alluminio che pesa qualche grammo, non inciderà mai sul volume dello zaino, così come il kit di sopravvivenza: accendino e medicinali a cui aggiungerei anche un pezzettino di diavolina. 

In materia di sicurezza invece vale sempre la regola della mano libera: avere sempre una delle due mani, se non entrambe, non impegnate può tornare utile in caso di caduta per afferrare appigli e/o proteggersi, congiuntamente all'imperativo che la carabina o il fucile nei trasferimenti debbano essere sempre scarichi. 

Sarebbero tante le cose da dire, ma per questo esistono manuali.

L’unica regola da ricordare è che bisogna imparare ad essere un po’ alpinisti, oltre che cacciatori, crearsi il proprio bagaglio di astuzie e malizie, sperimentare e mettersi alla prova senza mai dimenticare di essere ospiti lassù.

La montagna accoglie e cura. Animi, ferite e mancanze.

La montagna insegna, consiglia e accompagna chi sa ascoltarla. 

Non accetta presunzioni e vanti, smaschera esibizionisti e mette a tacere gli ostentatori.

Tutto toglie a chi troppo osa.

Prima svuota, con la fatica prosciuga, per poi riempire con valori veri. 

L’augurio è quello di farsela amica, di cadere, certo, ma mai troppo dall’alto, di camminare al suo stesso ritmo: fermarsi quando lo impone e ripartire quando lo consente; di godere dei suoi silenzi e dei suoi spazi per sovrastare le freneticità di questa vita; di conservare fino in vetta l'attrazione per l’imprevedibile, per l’inaspettato e per le difficoltà.
E’ il sublime a rendere Cacciatori di Montagna. 


Marta Chiattone

Classe 1995, nata e cresciuta a Moncalieri, ai piedi dell’arco alpino piemontese. Conseguita la laurea magistrale in Amministrazione Finanza e Controllo ma consapevole della serenità che la montagna è in grado di trasmetterle, abbandona l’ambito economico per dedicarsi full time al settore dell’outdoor. Muove i primi passi come content creator per il compagno, e poi marito, Andrea Cavaglià, iniziando fin da subito a seguirlo nel mondo. L’attrazione verso i particolari e l’entusiasmo per le storie di vita quotidiana segnano il suo percorso da narratrice: la semplicità dei sentimenti e le sfaccettature nascoste diventano la cornice perfetta per arricchire video e racconti di un mondo venatorio per lei a volte troppo sterile di emozioni.

“Siamo avventura, impeto, sentimento ed eleganza “.

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