PERCHÈ?


Mi presento. Perchè non l’ho mai fatto. 

Sono Marta, ho ventisette anni compiuti da poco e vivo in una piccola borgata di montagna, a due passi da Sestriere. 

Sposata da un anno con Andrea ma fidanzati da cinque. 

Laureata in economia, content creator nel settore dell’outdoor e parallelamente studentessa di un Master in Digital Communication. 

Ma in realtà tutto quello che c'è da sapere di me è che sono tanto curiosa, testarda ed estremamente riflessiva. Ci tengo a fare le cose per bene,qualsiasi esse siano ma mi annoio con estrema facilità.

E tutto questo me lo porto dietro da sempre, non è una novità;

da piccola non ho mai avuto un colore preferito, e se per questo nemmeno uno sport del cuore: ho voluto provarli tutti. Tuttora non ho un hobby, se potessi ne proverei uno diverso ogni weekend. I miei fidanzati sono stati uno l’opposto degli altri: uno biondo, uno bruno e uno anche rosso; uno calciatore professionista, uno studente svogliato e l’altro ancora un economo ammirevole; qualcuno amante della movida, qualcun altro pantofolaio cronico. 

In poche parole questo è stato l’emblema della mia vita. 

Perchè per me era giusto scoprirla tutta quanta la bellezza, dovunque fosse annidata.  

E quindi sono cresciuta così, con un piede in un tacco a spillo e l’altro dentro un scarpone, godendo dell’eleganza del primo e beneficiando della comodità del secondo.

Forse chi mi conosce potrebbe dire qualcosa in più su di me, ma ai fini di quello che sto per raccontare non penso sia importante aggiungere molto.

Cinque anni fa è iniziata la mia storia con Andrea e con la sua più grande passione: la caccia. Mogli, mamme e fidanzate di cacciatori sanno bene a cosa mi riferisco.

Come dicevo, da ogni mia relazione vissuta fin lì avevo cercato di cogliere il meglio: la mia curiosità mi aveva spinta a conoscere le regole del fuorigioco, a seguire con interesse la serie A la domenica pomeriggio, le serate di musica elettronica, le teorie che regolano gli indici di borsa e persino i meccanismi che muovono gli orologi.

Non di certo perché dovessi ma perché volevo: una persona è tale in quanto vive delle sue passioni, per apprezzarla devi in qualche modo conoscere ciò che ama. 

E anche con Andrea ero sicura che sarebbe andata così: questa sua passione così totalizzante a breve avrebbe investito anche me. All’epoca non sapevo ancora con che modalità e sotto quali sfaccettature ma ero certa che sarebbe andata così.

Rimaneva il fatto che io ero completamente a digiuno di tutto questo, così come lo erano tutte le persone a me vicine. 

Non vengo da una famiglia di cacciatori, non ho mai avuto tracce o racconti di nonni o bisnonni legati al mondo venatorio; ciò non toglie che mamma e papà ci abbiano sempre abituate a vivere in contatto con la natura: ho trascorso la mia infanzia, insieme a mia sorella Francesca  in un casa di campagna a pochi chilometri da Torino dove abbiamo davvero assaporato la spensieratezza del vivere all’aria aperta, a piedi scalzi, con le mani nel fango. E tutt’oggi se qualcosa non va, io torno lì, dove sono sempre stata serena.

E’ proprio a questo punto che si è palesato questo mio essere estremamente riflessiva.

Nella mia vita ho sempre cercato di andare oltre le apparenze, oltre i comportamenti e anche oltre le spiegazioni a volte. Ho sempre chiesto risposte e laddove non mi convincesse quella ricevuta mi sono attivata per cercarne un’altra da sola. Non mi è mai interessato il costo di tutto questo, la mia unica rischiosa certezza era che dovevo avere una spiegazione appagante, praticamente per tutto. Questa volta sarebbe toccato a me trovarne una, non avendo esperienze di conoscenti cacciatori.

La domanda nella mia testa era una: perché si caccia?

Dovevo darmi una risposta. 

Per me prima di tutto. 

E poi anche per Andrea, per potergli stare vicino con un po’ più di consapevolezza. 

Un professore un giorno mi disse: “Quando non sai dove trovare risposte inizia a capire dove non le troverai mai”. 

E così ho fatto. 

In questo mi sono aggrappata ad un testo di Ettore Zanon, inserito all’interno del Quaderno dell’Accademia Ambiente Foreste e Fauna del Trentino, nel quale illustra la caccia attraverso la sua negazione. Un punto di partenza importante. 

La caccia non è una necessità; 

lo è stata per millenni, quando era questione di sopravvivenza. Probabilmente lo è ancora per qualche tribù nel mondo ma certamente non per noi che abbiamo a disposizione una dieta ben più ricca.

La caccia non è uno sport;

per il semplice fatto che non è una gara, non dovrebbe esserci competizione se non con se stessi. Pur essendo un’attività regolamentata non ci sono punteggi e classifiche: quelle introdotte da alcuni comprensori alpini nascono per incentivare la gestione etica dell’area, non certamente per premiare il trofeo più bello. 

La caccia non è “tutela armata della natura”;

la natura è un sistema perfetto che trova e ritrova i suoi equilibri anche senza prelievo venatorio. Noi non siamo indispensabili a questa perfezione. E’ normale che ne facciamo parte e con la nostra presenza creiamo conseguenze nel breve periodo ma rimango dell’idea che alla fine chi regola i conti è sempre e solo lei, la natura.

Tutto il resto che ho capito della caccia, l’ho imparato sul campo. Convinta che il miglior modo per crearsi un’opinione propria sia vivere in prima persona un’esperienza, sono partita, zaino in spalla e scarponi ai piedi, per seguire Andrea e la sua famiglia nelle loro cacciate.

La prima cosa che ho percepito è che la caccia è conoscenza. Conoscenza di luoghi, abitudini, comportamenti e segni. Una conoscenza della natura che io non avevo. Mi sono resa conto di quanta ignoranza ci sia nelle cose più semplici e banali: il saper distinguere un capriolo da un cervo, un pino da un larice e una lepre da un coniglio. Ho imparato che gli animali lasciano segni, per terra, sulle piante, nell’aria e che se tu riesci ad interpretarli ti porteranno dritto da loro. Non c’è bisogno di inventarsi nulla, un buon spirito di osservazione a volte è tutto quello che serve. Sicuramente un vero cacciatore è una persona che osserva e impara.. anche un po’ scienziato se vogliamo.  

Ma la fame di conoscenza è una necessità che anche i libri sfamano. Cacciare per voglia di conoscenza non era l’unica risposta che potevo concedermi di trovare.

Così proseguii.

Mi laureai in pieno Covid e iniziai a dare il mio contributo al lavoro di Andrea: gli serviva aiuto nel settore dell’outdoor. Non mi tirai indietro: avrei dovuto seguire delle operazioni di marketing in qualche modo legate alla mia laurea e allo stesso tempo imparare tutte le tecniche fotografiche. Il mondo venatorio entrò prepotentemente nella mia vita privata e a questo punto anche lavorativa, ne fui letteralmente inondata.

Trovare una risposta alla mia domanda divenne una priorità. 

Ovviamente i contatti con altri cacciatori, diversi da Andrea e dalla sua famiglia, con altri principi ed  altre abitudini in quel periodo si moltiplicarono.

Questo fu allo stesso tempo un aiuto e un ostacolo.

Cercavo in ognuno di loro una risposta alla mia domanda e molto spesso mi ritrovavo ad accumulare argomentazioni che non mi piacevano: superficiali, egoiste, ipocrite e a volte addirittura contraddittorie.

Una di queste, e mi perdoni chi in qualche modo si sente turbato da questo mio esempio, fu: “Io caccio per stare in contatto con la natura”. 

Davanti a questa affermazione, che è la più ricorrente ascoltata in questi anni, il mio pensiero è il seguente: il contatto con la natura è un rapporto che altre mille attività outdoor sono in grado di costruire, una camminata, un'arrampicata, una tendata in solitaria; insomma non c’è bisogno di togliere la vita ad un animale. Sicuramente la caccia è una modalità per stare in natura ma non è questa l’unica spiegazione che chiude l’argomento. Almeno, non per me. Ho bisogno di qualcosa di più. 

Andai avanti per un po’ di mesi ad intervistare figure diverse senza trovare ragioni che mi convincessero, finché un giorno alla mia solita domanda "Perché cacci?” non ricevetti risposte ma lacrime.

Lo ricorderò sempre, eravamo ai piedi di una parete di roccia sotto una nevicata che aveva ovattato tutto il paesaggio quando quell’uomo di poche parole diede un senso al mio pensare.

Poi finì il pianto, tranquillizzò la voce e mi disse: “Non lo so perchè, mi viene da dentro”.

Il mio puzzle aveva un pezzo in più.

Mai avrei pensato di trovare una risposta in un “Non lo so”.

Eppure era tutto un po’ più chiaro. 

La caccia è passione.

Questa è la sola ed unica parola per descriverla, senza ipocrisie e falsità.

E’ qualcosa di inspiegabile e travolgente perché solo qualcosa di travolgente ed innato può giustificare il gesto di togliere una vita. 

Qualcosa che viene da dentro, che emoziona, che gratifica e che rattrista.

Avete mai visto il volto di un Cacciatore davanti ad una preda inerte? Buio, perso, malinconico. 

Non a caso ho voluto mettere una C maiuscola. 

Ne ho conosciuti di cacciatori e ne conoscerò ma sono pochi quelli che reputo tali.

Io sono fatta così, nel mio vivere ho bisogno di cogliere una morale, trovare un perché e una ragione a tutto. 

L’ho cercata perché mi sentivo persa in un mondo che non era in grado di darmene una. 

Ma non pensiamo che sia sempre così. 

C’è chi si ferma molto prima, tante volte non per pigrizia ma perchè non ha altri mezzi per crearsi una visione migliore della caccia: in fondo il materiale che ha a disposizione sono foto di carnieri schierati, animali sanguinolenti condivisi sui social e complimenti per trofei maestosi. 

Se io non avessi avuto vicino Andrea, che giorno dopo giorno con accorgimenti e piccoli gesti è riuscito a trasmettermi i veri valori di questa passione, se non avessi incontrato quelle lacrime così potenti, se non avessi avuto tutta questa testardaggine nel cercare una risposta, probabilmente sarei una di loro: animalista, anti-caccia, e perchè no anche vegana. 

E non fraintendetemi, la cosa grave non è esserlo.

La cosa grave è non dare la possibilità ed i mezzi a queste persone di crearsi un’idea migliore della caccia ma, anzi, essere i responsabili di molti fraintendimenti.

Quindi, cari Cacciatori, quando vi sentirete incompresi, sotto accusa e minacciati spero vi venga in mente la mia storia, la storia di chi ha provato a capirci qualcosa in più senza essere cacciatrice; perché sapete, quella passione che voi avete, che vi smuove dentro e vi fa alzare tutte le mattine all’alba, camminare giornate intere sotto la pioggia e la neve, è innata. 

La coltivi ma non la acquisisci.

E io non ce l’ho. 

Continuerò a cercarla ma non son certa di trovarla.

E quindi, direte voi, “Cosa c’entri tu con la caccia?

Forse niente e forse tutto, le risposte arriveranno all’improvviso, come è successo finora.

Resta il fatto che continuerò a seguire Andrea nei suoi avvicinamenti, lo asseconderò nelle sue levatacce mattutine e sarò dietro di lui anche sotto un impermeabile grondante. 

Pulirò i suoi camosci e macellerò i suoi cervi, perché quella è diventata l’unica carne che entra nella nostra casa. 

Ho scelto la caccia perché ho deciso che per il mio corpo è meglio non rinunciare all’apporto proteico della carne rossa sana, ma ho molto rispetto per chi non mangia carne e per questo ha argomentazioni valide per opporsi al mondo venatorio. 

Ho scelto la caccia perchè non ti permette di nasconderti dietro un dito o dietro al coltello di un macellaio: se vuoi mangiarlo, devi togliergli la vita tu e se vogliamo trovare una moralità in tutto questo, per quanto triste e poco consolatoria, stiamo parlando di animali liberi fino all’ultimo secondo di vita.

Ho scelto la caccia, o forse è lei che ha scelto me;

ma di una cosa sono certa, è un argomento che ha bisogno di accortezze, sensibilità e parole delicate. 

E’ tutto nelle vostre mani, fatene buon uso. 

Marta Chiattone

Classe 1995, nata e cresciuta a Moncalieri, ai piedi dell’arco alpino piemontese. Conseguita la laurea magistrale in Amministrazione Finanza e Controllo ma consapevole della serenità che la montagna è in grado di trasmetterle, abbandona l’ambito economico per dedicarsi full time al settore dell’outdoor. Muove i primi passi come content creator per il compagno, e poi marito, Andrea Cavaglià, iniziando fin da subito a seguirlo nel mondo. L’attrazione verso i particolari e l’entusiasmo per le storie di vita quotidiana segnano il suo percorso da narratrice: la semplicità dei sentimenti e le sfaccettature nascoste diventano la cornice perfetta per arricchire video e racconti di un mondo venatorio per lei a volte troppo sterile di emozioni.

“Siamo avventura, impeto, sentimento ed eleganza “.

Indietro
Indietro

LE COSE DIFFICILI

Avanti
Avanti

SUBLIME ATTRAZIONE - Curiosità sulla caccia in montagna